Matthias Sindelar, nato a Kozlov (nell’attuale Repubblica Ceca) nel 1903 e cresciuto a Vienna, è ricordato come uno dei più grandi calciatori europei della prima metà del Novecento. Ma la sua leggenda non si deve solo ai gol o al talento tecnico: Sindelar è passato alla storia come un simbolo di libertà e coraggio, un uomo che, con la forza del suo gioco e la dignità delle sue scelte, osò dire “no” al nazismo.
Era l’anima del celebre “Wunderteam” austriaco degli anni Trenta, una delle squadre più forti e spettacolari di sempre. Elegante, creativo e imprevedibile, veniva soprannominato “Der Papierene” (l’uomo di carta) per la leggerezza con cui si muoveva sul campo, ma anche “il Mozart del calcio” per la grazia e l’intelligenza con cui orchestrava il gioco.
Il genio del Wunderteam
Con la maglia della nazionale austriaca, Sindelar fu protagonista di un calcio moderno, tecnico e armonioso, che incantò l’Europa tra il 1931 e il 1934. L’Austria, allora allenata da Hugo Meisl, rappresentava un modo nuovo di intendere il pallone: un calcio fluido, fatto di passaggi, invenzioni e gioco collettivo.
Sindelar ne era il fulcro. In 43 partite con la nazionale, segnò 27 gol, ma il suo contributo andava ben oltre le statistiche: era l’uomo che dava ritmo, visione e fantasia, rendendo ogni azione imprevedibile.
Con il club della sua vita, l’Austria Vienna, vinse più volte il campionato e la Coppa d’Austria, oltre a una Coppa Mitropa (antenata della Champions League), diventando un simbolo sportivo e culturale per la Vienna cosmopolita e libera di quegli anni.
Il rifiuto del regime nazista
Nel 1938, la Germania di Hitler annetté l’Austria con l’Anschluss, cancellando l’indipendenza del Paese. Anche il calcio fu piegato alla propaganda: la nazionale austriaca venne sciolta e i giocatori più forti, Sindelar compreso, furono invitati a unirsi alla squadra del Reich tedesco.
Ma Matthias Sindelar rifiutò. Non volle indossare la maglia con la svastica, né rappresentare un regime che aveva distrutto la libertà della sua patria.
Pochi mesi dopo, durante la partita d’addio della nazionale austriaca contro la Germania, accadde qualcosa di leggendario: Sindelar segnò un gol, festeggiandolo platealmente davanti ai gerarchi nazisti sugli spalti. Un gesto di sfida, elegante e silenzioso, ma chiarissimo nel suo significato politico.
Fu la sua ultima partita con la nazionale, ma anche il momento in cui divenne un simbolo di resistenza morale.
La misteriosa morte
Il 23 gennaio 1939, Matthias Sindelar fu trovato morto nel suo appartamento di Vienna, insieme alla compagna italiana Camilla Castagnola. Le autorità parlarono di un incidente dovuto a una fuga di gas, ma la versione ufficiale non convinse mai del tutto.
Molti credettero — e credono ancora oggi — che la sua morte non fosse accidentale, ma il risultato di un omicidio politico, legato al suo rifiuto di collaborare con il regime nazista. Qualunque sia la verità, il suo nome rimase per sempre associato al coraggio e alla libertà.
Un’icona culturale
Sindelar non era solo un calciatore: rappresentava un’intera idea di Austria. In una Vienna ricca di arte, musica e intelligenza, il suo calcio era poesia in movimento. Dopo la guerra, la sua figura fu celebrata come quella di un eroe civile, un uomo che aveva difeso la dignità del suo popolo con i mezzi dello sport.
Il suo mito è sopravvissuto nei decenni, ispirando libri, film e canzoni. Lo stadio dell’Austria Vienna porta oggi il suo nome: Franz Horr Stadion – Matthias Sindelar Platz, a testimonianza di un’eredità che va ben oltre il pallone.
L’eredità di Matthias Sindelar
Matthias Sindelar è l’incarnazione di un calcio che non era solo spettacolo, ma anche cultura e identità. Il suo talento geniale e la sua fierezza morale lo rendono una figura unica nella storia dello sport europeo.
Non piegarsi all’oppressione, difendere i propri valori, restare fedeli a se stessi: questo fu il suo ultimo, vero gol.
Sindelar non vinse Coppe del Mondo, ma vinse qualcosa di molto più importante: il rispetto eterno di chi crede che lo sport possa essere una forma di libertà.
Il “Mozart del calcio” non suona più, ma la sua melodia continua a vibrare ogni volta che lo sport sceglie la coscienza invece del potere.
